Vindice Lecis: invertiamo la rotta o finiremo in un incubo
🌐 Sardegna domani #4: i suoi romanzi storici sono un tuffo nel passato, i suoi saggi e le sue cronache uno schiaffo al presente. Se poi osserva il futuro, Vindice Lecis intravvede nuvoloni. Eppure...
😱 Un mostro creato in casa
«Il futuro prossimo assomiglia a un incubo. Per questo motivo, per non deludere il valoroso collega e amico Luciano Piras che mi chiede alcune considerazioni sull’avvenire della Sardegna, cercherò di raccontare come vorrei la nostra isola nel futuro. Ma non come sarà in realtà, se continuiamo sulla strada di questi decenni. Perché se dicessi come la immagino, diciamo, tra cinquant’anni non potrei che pensarla con le sembianze mostruose che si stanno modellando oggi». Vindice Lecis è abituato a picchiare di penna, quando necessario. È abituato a dire pane al pane, vino al vino. Giornalista navigato, ora scrittore prolifico, re indiscusso del romanzo storico in Sardegna, non esita un attimo a raccogliere la sfida. Accetta subito appena gli chiedo di raccontarmi la Sardegna del futuro, quella che vede e quella che vorrebbe.
«La Sardegna globalizzata - dice - sarà un cumulo di periferie abbandonate nei lunghi inverni. Sarà una fotografia di litorali costieri fortemente intaccati dal cemento speculativo figlio dello sviluppo a tutti i costi e che non prevede altro che il mattone. Di terre, anche nell’interno, che più si spopolano e più vengono consumate».
Vindice Lecis (fonte: profilo Facebook dello stesso autore)
Sassarese, classe 1957, già corrispondente de L’Unità, poi in forza al gruppo Espresso, per 35 anni, dalla redazione della Nuova Sardegna fino all’ufficio centrale dell’Agenzia giornali locali, Lecis fa la fotografia «di una sanità che sta adottando il modello lombardo-veneto dove i soldi e le eccellenze vengono dirottate verso la dorata privata lasciando quella pubblica scheletri di ospedali svuotati e di paesi privi persino di un medico di medicina generale o del pediatra».
«Se dovessi guardare alle piantine che spuntano ora dal terreno e che tra cinquant’anni saranno forse alberelli, dovrei ammettere amaramente che il futuro che immagino sarà popolato da sardi omologati».
«Sardi ospiti in casa propria. Altro che orgoglio, merce da spot televisivo» rincara la dose.
«Rifletto sui matrimoni da favola che si celebrano sulla nostra terra utilizzata come set divistico, espressione del lusso e dello spreco che molti sardi - quelli che indecorosamente pensano di poter raccogliere le briciole che cadono dalle ricche tavole - vorrebbero guardare a bocca aperta. In una grottesca rincorsa all’emulazione. Matrimoni o feste su terreni pubblici o privati non conta, dove in una notte vengono edificati capannoni grandi come due campi da calcio e i sindaci in questione applaudono e ripetono la solita giustificazione: porterà gente, attrarrà turisti».
Abituato a spulciare tra i faldoni degli archivi storici, Vindice Lecis dice che «tra cinquant’anni il turismo sarà più invasivo e devastante. Ma sempre stagionale. Privatizzerà le spiagge e le coste. Ci trasformeremo - prevede - in una costosa Disneyland, un pacchiano raffazzonamento miserabile privo d’ordine e razionalità. Saranno le estati cafone portate all’ennesima potenza».
Cittadino onorario di Ollolai, dopo il successo dei suoi due romanzi barbaricini che hanno Hospiton come protagonista (entrambi pubblicati da Condaghes), Lecis è sicuro che «tycoon, emiri, finanzieri conteranno ancora di più e saranno come i feudatari portati da Giacomo II d’Aragona settecento anni fa. Si contenderanno coste, spiagge, anfratti. Realizzeranno, faranno, imposteranno, elemosineranno. Barche gigantesche e feste ne rappresenteranno il potere».
«Mezzo secolo arriva, è dietro l’angolo. E rafforzerà, se guardiamo i dati attuali, quelle odiose, gigantesche servitù militari che sono il simbolo della considerazione miserabile che l’Italia controllata dalla Nato ha della nostra isola: bombardamenti in mare e sui pascoli, migliaia di ettari privatizzati ad uso dei militari di mezzo mondo nella logica aberrante di più armi».
Candidato per la Sinistra Sarda alla carica di presidente della Regione Sardegna alle elezioni del 2019 (vinte da Christian Solinas), «immagino - sottolinea Vindice - che ora Luciano mi dirà: sei pessimista eccessivamente». «Mai stato, eppure… ».
Giornalista, scrittore e blogger. Suo fuoripagina.it. Eppure, dice…
«Eppure quando attraverso la Sardegna in ogni sua parte e osservo l’avanzata dei signori dell’eolico mi allarmo, mi preoccupo. Quelle gigantesche sentinelle che presidiano le colline e i rilievi che deturpano e devastano. Ci riempiamo la bocca della bellezza. Ma la stiamo sfregiando. Poi guardo il rapporto Crenos e mi accorgo che molte delle cose che qui sto dicendo in modo disordinato ci sono già: i sardi muoiono più che da altre parti, non si curano più. E ci conferma, quello studio, che servirebbe la medicina territoriale e abbattere le liste d’attesa e non nuovi giganteschi ospedali per glorificare qualcuno come un Ramses II. E che dire sui sardi che non lavorano o studiano, ormai centomila? L’età media avanza. Lo spopolamento divora vorace storie e servizi. I giovani si arrangiano o fuggono. Giustamente».
«Mi fermo qui perché ora voglio rovesciare il ragionamento e dire invece come la vorrei questa nostra Sardegna». Autore di veri e propri best-seller in salsa isolana, da Le pietre di Nur (Robin, 2011 e riedizione con Condaghes, 2016) a Buiakesos (Condaghes, 2012), ma anche di casi editoriali nazionali, da Il visitatore (Nutrimenti, 2019) al più recente L’ombra del Sant’Uffizio (Nutrimenti, 2022), passando per saggi come La resa dei conti. Per fortuna che c’era Togliatti (Ariostea, 2003) e Lotta al terrore. Il Pci contro neofascisti e Br 1976-1982 (Bordeaux, 2022), Vindice Lecis cambia ora passo e prospettiva.
Alcune copertine dei libri di Vindice Lecis
«Guardando ai dati lenti della storia, alle sue trasformazioni, agli arretramenti, alle svolte e agli strappi che abbiamo subito, molti avvenimenti già transitati dalle nostre parti si possono ricordare per evitare di costruire castelli per aria. Per evitare gli stessi errori. Ma non essendo, come ammoniva Gramsci, uno di quei costruttori di soffitte, mi limito a dire cosa fortemente desidero. Non faccio un elenco della spesa, ma bisogna rimettere mano alla funzione stessa della Regione: più autonomia non significa più satrapia e arbitrio».
Riscoprire il passato - sottolinea ancora il giornalista-scrittore - senza mitizzarlo e plasmarlo a seconda delle esigenze dell’oggi. «I soldi utilizziamoli non per operazioni di sottogoverno ma per grandi e continue campagne, di valorizzazione e scavo e tutela, che potrebbero davvero muovere coscienze e occupazione. Come ad esempio, investire per davvero contro il dissesto idrogeologico, autentica sciagura in una Sardegna che ha consumato, e sta continuando, i suoi territori. Vorrei un’industria di trasformazione dei prodotti agricoli e della pastorizia. Vorrei un turismo a bassa intensità e che non massacri l’ambiente. Basta dunque seconde case, basta col rito della ricchezza e degli angoli esclusivi. Vorrei uno stop alle privatizzazioni della nostra isola. Il caso di Punta Giglio è una ferita gigantesca. Come lo sono i tentativi continui di “piani casa” che non sono altro che l’apertura di porte all’edilizia, al cemento, alla cubatura come dio. Vorrei fortemente che la sanità pubblica diventasse la priorità. E goda di finanziamenti per garantire ospedali, strutture territoriali, assunzioni, buone pratiche. A quella privata non darei più nemmeno un soldo, non so se è chiaro».
«Sono trascorsi decenni e ancora non so dire se abbiamo una continuità territoriale per i sardi che desiderano spostarsi. Esiste o è una burla?»
«In sintesi - chiude Lecis - voglio terminare per spiegare come non costruire soffitte. Una delle stagioni più importanti della Sardegna è stata quella originata alla fine degli anni Quaranta con il congresso del Popolo sardo, promosso dalla Cgil e preparato da un numero infinito di assemblee, conferenze, incontri, pronunciamenti. Operai, contadini, braccianti e pastori trovarono per molti anni una strategia unificante di lotte e mobilitazioni che era quella di un piano di Rinascita. Nell’immediato dopoguerra ancora sessanta comuni non avevano acquedotti, 130 lo avevano incompleto o insufficiente, in estate anche nelle città l’acqua scarseggiava. Mancavano le fogne in 215 comuni e l’energia elettrica in 40. Persino i cimiteri erano assenti in 215 comuni. Per non parlare delle strade e delle ferrovie. Lo Stato fu costretto a investire. Certo, lo fece male e puntando su una certa monocoltura frutto d’altri tempi e non più riproponibile. Ma la storia ci suggerisce che la strada da percorrere nel futuro è quella, certo tortuosa e complicata, del protagonismo delle grandi masse sarde per rivendicare, proporre, autogovernarci».
«L’alternativa è il clientelismo campanilistico, l’emergere di satrapi e cacicchi sempre più potenti che nei miei desideri non dovrebbero nemmeno essere candidati da nessun schieramento. Bisogna tornare ad avere quella tensione ideale e cultura, propellente di un nuovo vero autonomismo».
«Oppure i sogni saranno - come già sono - incubi». Parola di Vindice Lecis.
🎨 PausArte
Alfonso Silba, Scontro finale, studio su carta intelata, tecnica mista, 4,40x2 mt, 1993 (dedicato a Tomaso Mojolu, l’eroe che a Orosei contrastò le incursioni saracene).
Forse non riflettiamo abbastanza sul paradigma della politica stessa, che vorrebbe che tutti i cittadini si occupassero del bene e della felicità pubblici e invece la politica è diventata la guerra per bande per la propria felicità, a discapito di quella pubblica. Abbiamo una metafora antica in Sardegna da rispolverare ed è il suono delle campane quando un paese era minacciato da un incendio. Tutti accorrevano a salvare il paese e non si stava ad addossare le colpe reciproche prima di prendere la frasca spegni fuoco. La sardegna è minacciata dall'incendio storico del suo sottosviluppo e delle sue inadeguate politiche. Il suono delle campane dovrebbe riunire TUTTE le forze politiche e sociali per arrivare a un vero piano condiviso di visione del futuro. Ma chi suona la campana e per chi la suona? e chi è disposto ad ascoltarla?
Condivido quanto scritto da Lecis! Mentre si consumano ettari di territorio i sardi uniti non si indignano sull'assenza di una sanità con la lettera maiuscola. Il mio paese, Olzai, è privo del medico di famiglia da almeno 7 anni. I concittadini si rivolgono ad altri paesi dove esistono i servizi sanitari e sono sbattuti da una parte all'altra! Condivido l'annotazione di Domenico Canu!