L'inquieta leggerezza della solitudine
🌐 Una voce dal cuore, una voce fuori dal coro. Donato Nitti non ama le lusinghe, neppure gli applausi. La sua poesia non fa rumore, eppure ha molto, molto da dire.
Dice Donato Nitti: «Appartengo a una specie di uomini che stanno ai margini del mondo di cui fanno parte e non guardano la massa». Perciò quando scrive prosa e poesia lo fa soltanto per se stesso. «Per distrarmi» sottolinea. «Senza pretesa di valore» aggiunge. Non mira a conquistare gli altri, non gli interessano gli applausi, tanto meno gli interessano le lusinghe. Lui, avvocato di professione, è fatto così: è fuori dal tempo, fuori dal coro. Felicemente fuori dal tempo, felicemente fuori dal coro. Mentre il mondo attorno fa parecchio rumore, lui sceglie il silenzio, la riflessione profonda, l’analisi, l’introspezione.
“Molte parole scritte / e ancora più quelle che non lo sono”
canta in “Parole”, poesia ispirata da Wislawa Szymborska.
Sa bene, Nitti, fiorentino di nascita e formazione, che a fare la differenza con le parole è l’uso che se ne fa, lo scarto può essere anche abissale, dipende tutto da come le parole vengono intese, cucite e limate,
“(…) le stesse lettere possono dire / d’amore e di guerra, di lacrime e gioia”.
Ancora, più avanti:
“Una matita / non sa quel che scrive (…) // La mano che la guida, invece, / ha la responsabilità delle parole, / banali o dotte, / d’amore o di guerra”.
La sua è «una scrittura che forse non piacerà agli altri, perché agli altri non è diretta - ribadisce -, e perché non è attuale». È questa la cifra della poetica di Donato Nitti. Che pure ha molto, molto da dire. E cattura. Cattura il lettore proprio perché questo poeta nascosto nella sua fucina è universale, è l’eteronimo di ognuno di noi, ogni sua parola è la nostra parola, ogni verso libero che lascia sbocciare diventa un fiore di tutti, di chiunque, senza padroni né confini.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo un anno fa, a Lula, il 20 aprile 2024, quando ha donato (nomen omen) due sue opere d’arte al museo MacLula (leggi qui). Mi ha colpito subito, devo dire. Mi hanno colpito la sua arte, arte digitale, surreale, onirica, e un libretto che aveva con se, come un gioiellino timido e preziosissimo, “Altri universi imprevisti (2010-2022)”, edizioni Gazebo, Firenze. È la prima raccolta di poesie di Donato Nitti. Un centinaio di pagine, carta avorio, copertina di cartoncino vergato. Grafica minimalista.
Poliedrico, smilzo, alto, elegante nel portamento. Fisico da atleta. Giacca e cravatta. Donato Nitti (qui il suo sito web) sa essere anche casual, empatico, vicino. È inquieto, tuttavia, perennemente inquieto. Segnato dalla lettura casuale di uno dei capolavori di Fernando Pessoa, il “Livro do desassossego”, il “Libro dell’inquietudine”, appunto, l’opera postuma incompiuta firmata da Bernardo Soares, uno dei tanti alter ego utilizzati dal poeta portoghese.
Scrive, Donato Nitti:
“A un’ora della sera / ripenso al mio tempo / e al mondo nuovo / aperto ai miei occhi. // Infiniti rimandi / mi raccontano segreti / che ancora non possiedo / ma intuisco in trasparenza”.
Meditativo, febbrile, ma anche leggero e diretto proprio come Pessoa, Nitti dà voce ai propri sentimenti, li lascia scorrere e da loro si lascia cullare. Canta l’amore, soprattutto. L’amore per Cristina, «che con la sua dolcezza mi ha convinto a scrivere» confessa. «La poesia, anche quella non eccelsa - spiega -, parla alle emozioni, come solo la grandissima prosa sa fare».
“Nei tuoi occhi / altri universi imprevisti”
racconta il distico libero “Universi”, fulmineo e fulminante.
Il tema dell’amore ricorre e si rincorre, in queste pagine.
“Balla, ragazza dai lunghi capelli, / luce splendente nel sole d’agosto, / neri di seta, / poi giovani e belli”.
E ancora:
“Dai tuoi baci traggo il respiro / come l’anima universale”.
Classe 1969, Donato Nitti è un viaggiatore giramondo, soprattutto in Cina (ha anche insegnato all’Università di Shanghai). Nutre un amore sconfinato per la filosofia esistenzialista e per il buddismo giapponese. È Console onorario dei Paesi Bassi a Firenze. Ama i libri, la grande letteratura. Ama un grande poeta, Mario Luzi, letto «nell’imminenza dei quarant’anni». Poi sono arrivati tanti altri poeti, poeti diversi, di epoche e lingue diverse. Wislawa Szymborska, che si affaccia spesso in questo “Altri universi imprevisti (2010-2022)”. Pablo Neruda, Alda Merini e Patrizia Cavalli, Salvatore Quasimodo e Federico García Lorca, Eugenio Montale e Walt Whitman, Friedrich Nietzsche, Francesco Guccini e Ivano Fossati. E ancora: poeti arabi e poeti cinesi.
Eppure, nonostante le mille partenze e i mille rientri
“Non ho viaggiato / quanto avrei voluto. // Non ho visto tramonti / nel deserto, / passeggiato sugli aspri / monti d’Abruzzo. // Non ho navigato / sul delta dell’Orinoco / o tra le correnti al largo di Gibuti”.
Questo confessa Donato Nitti in “Viaggi perduti”.
“Gettato nel mondo / tra infinite possibilità, / cerco il senso di esistere, / cerco il desiderio di essere. // Viaggio leggero / in cerca di sogni”.
Così “Esistenzialismi”. Prova provata del travaglio interiore, del turbamento che guida la penna (o meglio: la tastiera di un computer). Ecco perché Nitti non potrà mai liberarsi di quello stato d’animo che lo mette in guardia dalla routine quotidiana, dalla consuetudine monotona. Per questo, la sua è una voce fuori dal tempo, fuori dal coro. Per questo deve scrivere. Scrivere è una necessità, scrivere è un dovere. “Ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro” dice Agota Kristof nella Trilogia della città di K., citata nell’esergo che apre la raccolta del poeta fiorentino. “Un libro geniale o un libro mediocre, non importa - va avanti Kristof -, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia”.
È «l’inquietudine di scrivere», sottolinea Donato Nitti.
«Scrivere è un esercizio di solitudine, il più perfetto tra tutti. Ti costringe a guardarti dentro, e nel farlo sei solo, come in tutti i momenti importanti e in tutte le decisioni - svela il poeta -. Anche leggere lo è, ma a differenza dello scrivere può farsi ad alta voce, e questo diminuisce l’intensità della solitudine. Leggere ad alta voce in compagnia riduce ancora l’intensità, ma non l’annulla perché le immagini che le parole suggeriranno ai diversi lettori dipenderanno dalle esperienze di ognuno, e allora saranno diverse».